mercoledì 27 novembre 2013

L’ascolto (Psico) Pedagogico nell’esperienza dell’ospedalizzazione


Un percorso di esperienza vissuta, di riflessione e una proposta di Formazione per interventi Pedagogici in contesti Clinici e Socio Sanitari
Alessandro Castelli

L’esperienza dell’ospedalizzazione è un trauma.

      Spesso ci si trova su di un letto d’ospedale da un giorno all’altro, senza neanche avere il tempo di razionalizzare quanto sta accadendo…Sia per casi d’incidente che per malattia grave, pervenuti improvvisamente o quasi…Quindi ad esordio veloce. E come reagisce il paziente e i suoi familiari? Come si comporta il personale medico e infermieristico? Nei casi più fortunati un neo paziente che ha una famiglia accogliente e calorosa, nonostante il trauma comune, ha prima di tutto il conforto dei propri cari…Ma non è sempre così, sia perché i propri familiari vivono lontani, sia perché si vive da soli e solo nei migliori casi ci sono Amici a cui potersi rivolgere, per l’immediatezza della situazione .
     Ho vissuto 6 mesi all’interno dell’Ospedale A. Gemelli di Roma, reparto Ematologia (inizialmente una settimana all’Ospedale Belcolle di Viterbo nella prima fase critica), per avermi diagnosticato una forma acuta di leucemia, nel mese di novembre 2008. Il primo mese, completamente allettato a seguito della terapia d’urgenza alla quale sono stato sottoposto a Viterbo, che mi ha salvato la vita. Da gennaio fino ad aprile ho fatto avanti e indietro tra brevi periodi a casa e più lunghi in ospedale, per i previsti cicli di chemioterapia  e mantenimento medico alternati, previsti. 
I medici che mi hanno curando e mi stanno seguendo ancora, sono professionalità davvero preparate e li ringrazierò sempre ma in questo periodo di ospedalizzazione cosa succede al paziente? Come affronta l’emozione? Il medico e il personale infermieristico tutto come reagisce? Il lavoro è prettamente “tecnico”,  anche se naturalmente c’è anche l’elemento della umanizzazione dell’intervento clinico e sanitario, ma spesso succede che l’aspetto  psicologico è completamente secondario, per cui questa necessità deve essere demandata, solo quando è prevista, a figure specializzate. Per il paziente, l’aspetto dell’emotività e delle difficoltà di relazione in un nuovo ambiente, l’impatto con la patologia e tutto ciò che ne consegue è un trauma e spesso i medici devono occuparsi “solo” della parte strettamente clinica, tralasciando la questione emotiva del paziente, che spesso deve solo seguire le prescrizioni mediche…Ma la malattia determina una condizione di profonda crisi in quanto interrompe l’abituale ritmo di vita e l’individuo è talmente vulnerabile che non tutti si è in grado di affrontare nel modo migliore ed equilibrato, questo periodo difficile. Inoltre, la formazione medica è sempre stata improntata solo ed esclusivamente al fattore clinico..e solo in minima parte psicologica, molto generale e prettamente sempre e solo medica.
      Ci sono poi medici che per loro formazione e cultura umana riescono a stare più accanto al paziente, offrendogli conforto e accoglienza, ma poi, le varie incombenze della patologia da seguire non gli permettono di aumentare la qualità e il tempo dell’accoglienza stessa, a discapito di altro tempo del medico stesso. Solo nei casi di tumori è previsto un sistema di assistenza psicologica nei reparti, soprattutto in situazione di minore età, (Oncologia) mentre ad esempio non è previsto alcun intervento simile nei reparti di Ematologia, dove comunque si affrontano casi di patologie tumorali gravi e importanti, come leucemie e linfomi…Non a caso molti degli addetti ai lavori, chiamano Ematologia, “il Reparto”…
      Quanto detto finora, fa parte di una prima “riflessione pedagogica” riguardante un vissuto personale ma comune di tante altre persone che l’esperienza dell’ospedalizzazione, cura e terapie sono sempre causa di un disagio psicologico e a volte anche psichico. Pertanto sono necessari strumenti ancor più utili e propositivi alla ricerca del Ben-Essere psico-fisico dell’Individuo, soprattutto in contesti clinici e Socio-Sanitari.  Lo spunto per questa “Riflessione Pedagogica” nasce poi, oltre dal profondo vissuto personale, anche dall’aver letto il Dossier a cura di Giuseppe Rulli e Maria Angela Grassi, riguardante l’E.T. (l’Educazione Terapeutica) del Dr. Francesco Mammì e del Dr. Claudio Doliana, su “Come educare bambini e bambine, ragazzi e ragazze con diabete”, (Professione Pedagogista, N.32, Maggio 2009).
A mio avviso ci sono diversi aspetti comuni rispetto alla presente riflessione che proponiamo: “La professione di pedagogista è peculiare e fondamentale rispetto ai bisogni e alle necessità dell’Uomo, nella sua crescita e formazione, soprattutto perché lavoriamo in contesti spesso problematici, alla ricerca di risoluzioni utili alla vita di ogni essere umano”…Per cui “educare il paziente a gestire la cura della propria malattia” come dice appunto il Dr. Mammì e poi “l’esercizio di attività curative formali”…che “riflette  anche un inconfessato bisogno di cura di sé…” (per quanto riguarda i medici), ci sembrano ulteriori riflessioni davvero importanti.
“L’ approccio al cliente” poi e a tutto ciò che ne consegue, appare in questo ambito Cinico e Socio-Sanitario evidentemente utile, nell’insieme di un ripensamento profondo, culturale e propositivo in chiave Pedagogica. Come Pedagogisti abbiamo l’opportunità  incredibile di ampliare la possibilità di creare Ben-Essere, così come l’esempio “educare bambini e bambine, ragazzi e ragazze con diabete” , nei casi  dei reparti di Ematologia accennato sopra, non c’è nessuna preparazione psicologica e  assistenza pedagogica, al fine di creare Interrelazione tra paziente, personale medico, infermieristico, ausiliario e familiare.
      Gli operatori ospedalieri sono troppo presi dalle loro problematiche quotidiane e spesso anche dai bilanci delle aziende, per cui l’unico strumento “umanizzante” ed “educativo” attuale è quello della buona volontà dei singoli operatori (oltre ovviamente alla loro preparazione professionale che però abbiamo detto, è prettamente medica). Troppo spesso abbiamo visto l’affannarsi di dottori e infermieri su ogni singolo paziente, dopo ogni visita mattutina, alle prese con le diverse patologie e dietro alle varie cartelle cliniche da sfogliare, con poche possibilità di un chiarimento un po’ più tranquillo tra paziente e medico stesso…Poche informazioni concise per il decorso della malattia, (a volte neanche quelle, perché sembra che le informazioni maggiori sono “riservate” agli addetti ai lavori) e quasi nulla più.
Poi il paziente stesso deve “rincorrere” il proprio medico per ulteriori delucidazioni, rispetto all’andamento della terapia, perché nella realtà delle cose, nella cultura medica e nell’impossibilità di avere tempi più consoni al dialogo, “poche parole e più fatti”, sembra sia questa la “legge “ da seguire…! “Purtroppo la filosofia della medicina non è certo un tema centrale nelle facoltà di medicina europee (…), per la maggior parte, gli studenti accettano il modo in cui la medicina è praticata usualmente senza mettere in discussione gli assunti sui quali questa pratica è fondata (…) che le malattie sono entità che attaccano il paziente dall’esterno (…)” come afferma Wulff-Andur Pedersen-Rosenberg, 1992, pp.1-2, sul Dossier citato Rulli-Grassi, Professione Pedagogista N.32 in Claudio Doliana.
     Per cui, crediamo che proprio perché Pedagogisti, c’è la necessità di un appropriato utilizzo della parola anche di tipo strettamente relazionale, a maggior valore proprio perché lo affrontiamo in un contesto Clinico e Socio-Sanitario.
 “L’esercizio della parola è curarsi del mondo e il pedagogista non dovrebbe mai dimenticare che la sua identità è quella dell’in-segnante in senso intimo, etimologico: non uno che insegna questa o quella materia ma colui che sa segnare dentro, in quanto a sua volta segnato da un incontro che gli ha segnato la vita” (Claudio Doliana, Professione Pedagogista N.32). Il concetto appena ribadito, “segnare gli altri perché segnati noi stessi….” è di fondamentale importanza: “Il Pedagogista è l’esperto dei processi educativi e formativi”  proprio perché esperto in un ambito  (non materia) così fondamentale all’Essere Umano e moderno, non può essere una competenza esclusivamente teorica. C’è bisogno di una “competenza interiore”, di empatia quasi innata oserei dire, in grado di saper mettere in relazione i fabbisogni educativi e formativi di preparazione  umana, da trasmettere, così come nel vero senso del “maieuta”.
La proposta formativa qui presentata “L’ascolto Psico-Pedagogico nell’ospedalizzazione” (un percorso di Esperienza vissuta, di riflessione e una proposta di Formazione), è basata proprio sulle argomentazioni precedenti. Il decorso del vissuto ospedaliero ha, a mio avviso, delle “necessità umane” , sia da parte del paziente che del medico, che sarebbero da sviluppare meglio, in particolare nei seguenti punti:

    ·        L’accoglienza
·        La Comunicazione paziente/medico
·        La Visita medica d’ingresso e quella giornaliera
·        Bisogni e necessità del personale infermieristico (la professione d’aiuto sanitaria)
·         Interazione tra il personale ausiliario
·        I rischi delle professionalità cliniche e istituzionalizzate
·        La figura del Primario e le richieste del Paziente

Questi sarebbero i primi punti da analizzare e sviluppare per favorire un “approccio sistemico alla relazione tra Paziente ed Operatore”, in senso strettamente pedagogico. Le tematiche affrontate quindi, sarebbero strumento naturale per una proposta formativa e di aggiornamento più ampia, a favore delle professionalità sanitarie, in competenza specifica, rispetto al lavoro quotidiano e fondamentale, alla base della “relazionalità del paziente”, ancora carente…Ma forse qualcosa si sta muovendo…

Il decorso ospedaliero ha bisogno di una maggiore umanizzazione.
Il Pedagogista in ambito ospedaliero.

     Il periodo della degenza, così com’è attualmente strutturato, non aiuta ad una certa sistematicità funzionale nella quotidianità del percorso terapeutico. Ci sono infatti diversi aspetti “forzati” all’interno della vita in ospedale, a causa dalle esigenze strutturali e professionali, per cui il paziente si deve adeguare a loro, cercando di organizzarsi individualmente, se è possibile, ma non è sempre possibile. A tal fine c’è bisogno di una serie di strategie utili e opportune per il percorso terapeutico da affrontare, a favore del Paziente adulto, che anche in questo caso vorremmo sintetizzare nei punti fondamentali, per una successiva rielaborazione:

Ø La degenza:
·        I tempi
·        I mezzi
·        Gli strumenti
·        Le tecniche dell’interazione

     I quattro punti sopra evidenziati sono fondamentali al fine di un ,miglioramento psicofisico dell’Individuo ricoverato. L’assenza dal calore delle mura familiari, lascansione dei tempi e degli spazi interni, pur se necessari, creano un ulteriore trauma all’individualità di ognuno e solo la vicinanza dei propri cari e una certa preparazione e sensibilità professionale, può attutire tale scompenso emotivo.
     Proprio a questo proposito, l’insieme della nostra proposta, prevede una certa rimodulazione o comunque, riqualificazione all’interno dei servizi giornalieri ospedalieri, attuali, per ottimizzarne le prestazioni mediche, infermieristiche, ausiliarie e ambientali, a favore del Paziente e del Personale tutto.
     Ri-qualificazione e ottimizzazione dei servizi sanitari interni, in senso strettamente pedagogico, vuol dire che le attività giornaliere, prestazioni, spazi e tempi, dovrebbero essere gestite diversamente, ma senza alcuna rivoluzione.
In questo senso e a questo proposito, l’apporto del Pedagogista all’interno della struttura ospedaliera, favorirebbe un “incontro” diverso e più funzionale alle esigenze delle parti, utilizzando strumenti adeguati di inter-azione tra gli attori coinvolti (pazienti, medici, infermieri, ausiliari e familiari), per una organizzazione, umana, interna, più efficace.
      Un senso organizzativo-pratico nuovo, rispetto alle esigenze di tutti, ma soprattutto dal punto di vista emozionale che la figura “nuova” del Pedagogista in ambito ospedaliero, aiuterebbe a monitorare al meglio, dall’interno, le varie istanze emotive e di fruizione/organizzazione del servizio, a favore del Paziente e del Personale tutto. Spesso inoltre sono carenti anche le figure dei Volontari, (nel reaparto di Ematologia del Gemelli, c’è solo una disponibile e cara suora che cerca di dare un po’ di conforto ai pazienti e quando può li aiuta anche per alcune richieste pratiche…Ma c’è bisogno di un maggior sostegno.


Conoscere se stessi e gli altri: il rapporto ospedaliero e la compartecipazione del percorso terapeutico.

     Le relazioni e i rapporti in ambito ospedaliero, tra le persone, subiscono inevitabilmente degli “influssi istintivo professionalizzanti”, come oserei chiamare…Ovvero, essendoci quasi mai momenti di specifica e strutturata conoscenza reciproca, tra paziente, medico e personale infermieristico, in particolare, l’unica “relazione” tra le parti è limitata alla “conoscenza funzionale” tra le parti, in occasione delle quotidiane visite mediche o degli interventi infermieristici, limitari a questo. Ed è normale…
     Secondo quanto afferma il Dr. Mammì, “curo gli altri per non pensare ai miei nodi irrisolti” e “occuparsi di chi si occupa di terapie a prescindere dal loro grado di legittimità”, è un’altra forte riflessione che noi Pedagogisti dovremmo favorire, affrontare e cogliere.
 La conoscenza globale e particolare dell’individualità Paziente, dovrebbe essere favorita all’interno del processo medico e qui il Pedagogista può fare davvero, meglio di altri. E’ a questo proposito che si dovrebbe aumentare e favorire il senso di “compartecipazione” del percorso terapeutico, a favore della diretta informazione
del Paziente, diminuendo la “distanza” tra medico e paziente stesso, proprio per far si che il percorso e il decorso terapeutico, sia il più possibile condiviso dalle parti, aumentandone la consapevolezza e la responsabilità reciproche.
Tutto questo risulterebbe a favore anche del medico, che troppo spesso si trova di fronte alle enorme responsabilità, (tipiche certo della professione scelta), ma con conseguenze psicologiche, sicuramente non abbastanza affrontate e assorbite.         
     Questa verità, in una professione d’aiuto come quella del medico (ma anche dal punto di vista del paziente), risulta nei fatti, in una certa contraddizione. Nelle professionalità mediche, riconosciute a favore della cura della persona e alla salvezza della vita umana, non sia più “solo” sterile competenza dall’alto delle accademie universitarie, ma un processo di ottimizzazione continua per il Ben-Essere della Persona!

 

sabato 23 novembre 2013

Una migliore convivenza sociale

La Mediazione Minorile Penale può considerarsi uno strumento, un servizio finalizzato a migliorare la convivenza sociale per Favorire la Rielaborazione e il riconoscimento dell'esperienza penale dal Reo con uno sviluppo pieno sul piano cognitivo che comporta  una rielaborazione del fatto penaleConsiderando la situazione della persona offesa dal reato, da riconoscere egualmente, aiutandola a prendersi carico del conflitto al fine di eliminare o ridurre i sentimenti di insicurezza, di disagio e di rabbia suscitati dal reato. 
il Compito del Mediatore è quello di creare una situazione neutrale in cui reo e vittima possano incontrarsi e riconoscersi reciprocamente come persone e come parti, affinché sotto l'iceberg del conflitto si riescano a tirar fuori, essere riconosciuti e accolti, sia quelli i sentimenti di rabbia e/o di depressione della vittima, che i sensi di colpa del reo. Il Mediatore deve considerare costantemente che il fine della sua attività consiste nello stabilire una comunicazione tra le parti e nel ridurre il conflitto; nel caso della mediazione penale, l'obiettivo specifico è quello di arrivare ad una riparazione, in quanto il reato ha originato una posizione di asimmetria, un'offesa, una sottrazione che può e deve essere reintegrata. 
Pertanto l'incontro di Mediazione dovrebbe naturalmente concludersi con un accordo riparativo, attraverso attività di riparazione/risarcimento dirette alla vittima o dirette alla comunità sociale. Qualora, pur avendo avuto esito positivo l'incontro di mediazione, la riparazione diretta non sia possibile, è comunque prevista la possibilità d'inserimento del minore in un'attività di utilità sociale che consenta un impegno effettivo da parte dello stesso.

Tratto da "Linee d'indirizzo per l'attività di mediazione nell'ambito della giustizia penale minorile" (1999) 

Minori, reati e Mediazione Penale

 La Mediazione Penale Minorile è ammissibile:
per reati quali, lesioni, danneggiamenti, ingiurie, minacce, furti, rapine, oltraggio, rissa, disturbo della quiete pubblica, atti di violenza sessuale (lievi), reati con l’aggravante razziale (lievi). Si tratta di un insieme di reati sostanzialmente non gravi ma che possono provocare una certa reazione sociale e disagio personale.
Chi attiva il procedimento di mediazione penale?
In Italia il procedimento di mediazione può essere attivato dal Procuratore, segnalato dai servizi sociali (USSM, Ufficio di Servizio Sociale Minorenni) e dal Giudice di pace. Perché il procedimento si attivi devono essere garantite tre condizioni: il consenso informato e volontario da parte del minore autore del reato; il consenso informato e volontario da parte della vittima; l’ammissione della responsabilità nel reato da parte del minore autore del fatto.
Chi sono i soggetti autorizzati a condurre la mediazione penale?
Gli uffici di mediazione presso i tribunali, i centri di gestione dei conflitti e gli uffici pubblici. L’attività di mediazione è autorizzata e regolata da protocolli d’intesa stipulati con il Ministero della Giustizia.
Quali sono le fasi della mediazione penale?

In Italia non è riconosciuto in letteratura un modello unico di mediazione. Di conseguenza, per individuare le fasi e le caratteristiche dell’attività di mediazione vengono di seguito analizzate diverse esperienze nate sul territorio nazionale       

Fonte: www.giustizia.it            
                                                                          

Mediazione Familiare: né vinti, né vincitori

Si definisce mediazione familiare “un processo di gestione dei confini nei quali i membri della famiglia chiedono o accettano l’intervento confidenziale e imparziale di una terza persona”  ovvero, un percorso in cui la coppia viene “accompagnata” da una terza persona neutrale, il MEDIATORE, per ristabilisce la comunicazione tra le parti. I luoghi della mediazione familiare sono: Centri di mediazione familiare (pubblici e privati)-Consultori familiari (pubblici e privati)- Centri per le FamiglieStudi privati.
Il mediatore aiuta a fornire degli strumenti di lettura per cogliere la verità o la realtà della situazione e ad affrontare la sofferenza che nasce da una separazione, un divorzio, o da una reato. Il buon fine di molte esperienze di mediazione prova l'alta professionalità del mediatore stesso, che inoltre è vincolato al segreto professionale e libero da qualsiasi forma di pregiudizio. Il Mediatore NON VUOLE VINTI e VINCITORI  ma cerca  di instaurare un rapporto riservato, sincero, schietto e positivo con le persone coinvolte, favorendo l'analisi dei motivi di contrasto e liberando la conflittualità, senza reprimerla.
Il mediatore è una figura autonoma dal contesto giudiziario, che in molti casi collabora con i tribunali e avvia il tentativo di mediazione tra le parti, solo se le stesse lo decidono  volontariamente. La Mediazione Familiare  viene attuata in una situazione (setting) ben precisa di incontri, per raggiungere obiettivi e finalità stabilite insieme. Di solito la media degli incontri è di 8-12 sedute, distribuite in un arco di tempo variabile dai sei mesi ad un anno. 
La mediazione familiare non costituisce comunque una soluzione per tutti i casi di conflittualità presenti nella coppia; si tratta semplicemente di un nuovo modo di pensare l'esito di una crisi coniugale. Ci sono anche casi di scarsa mediabilità (episodi di sfruttamento sessuale, di violenza, di tossicodipendenza o di alcolismo e mancanza assoluta di comunicazione): in questi casi i soggetti si rivolgono direttamente all’apparato giudiziario. Mentre  con la MF i genitori sono in prima linea  e sono chiamati a determinare gli accordi separativi, risulteranno entrambi vincitori[1]                             
                            
                    



[1] Tratto da Rosa Minerva (Pedagogista Mediatrice Familiare) ne LA PAGINA MAIEUTICA Periodico online a diffusione nazionale di cultura socio-psico-pedagogica dello Studio di Consulenza Familiare e Psicopedagogica – Alcamo

Enti per la Mediazione


La Mediazione Familiare e Minorile Penale

    

     La mediazione Familiare e minorile penale:


·   aiuta a risolvere i conflitti:  confronto      
     costruttivo per  soluzioni condivise, con una serie di reciproci             accordi.

.·  decisioni condivise:  Vengono prese tenendo in 
     considerazione i bisogni dei genitori e dei figli,      
     affinché gli adulti possano prendere insieme 
     decisioni sostenibili per tutti, in maniera durevole.

·    scelta migliore per i figli Il rapporto genitori- 
       figli non si interrompe con la separazione o il 
       divorzio ma favorisce e valorizza la genitorialità.

·   punto di forza:  in ambito minorile  penale, nei casi   
      di bullismo e reato, favorisce la presa di coscienza  
      personale del reo e il suo reinserimento sociale, 
      favorendo la riconciliazione (quando è possibile),  
      delle parti, tra vittima e autore del reato,


     destinatari DEL SERVIZIO (CHI CHIEDE LA MEDIAZIONE)

·  Famiglie e genitori in crisi, in vista di separazione 
    e/o     divorzio 
·  genitori in conflitto per l’affidamento dei figli

·  Genitori con figli adolescenti vittime e autori
    di reato

Conflitto e Mediazione

 Dal conflitto alla mediazione con l'aiuto dell'esperto e della supervisione
La Mediazione Familiare e minorile penale
 come strumento efficace di 
aiuto alla coppia e alla famiglia in crisi,

in fase di separazione o divorzio,
e agli adolescenti  nei casi di rischio penale
  e marginalitÀ sociale

Presentazione

La società odierna è ancora piena di conflitti, sociali e familiari, e ancora troppo spesso si tende a risolvere tali conflitti con cause legali, pensando che sia l’unico modo per arrivare ad una soluzione vera e duratura. Ma in realtà è la cosa più sbagliata al mondo perché crea solo rancori e allontana sempre di più le persone.

Da qualche anno si è cominciato  a utilizzare però la Mediazione, prima quella Civile, per la risoluzione dei conflitti prettamente materiali, per risolvere in maniera più pacifica le diatribe tra parenti, condomini e tra tutti i soggetti che hanno in comune interessi per lo più economici…Ma poi finalmente si è affacciata anche la Mediazione Familiare, come strumento efficace per aiutare le situazioni che vedono coppie in crisi e/o per l’affidamento dei Figli, a seguito di separazione e divorzio. Poi si è inserita anche la Mediazione Minorile Penale, in grado di aiutare i soggetti, per lo più Adolescenti, rei di aver compiuto danni a persone e cose, in un contesto di marginalità sociale e deviante. In questi casi la Mediazione aiuta il/i giovane/i a prendere coscienza del danno causato, cercando di fargli risvegliare il “senso umano”, provando, dove è possibile, di riappacificare anche le parti tra reo e vittima, in un’ottica di riabilitazione e recupero sociale.