Un percorso di esperienza vissuta, di riflessione e
una proposta di Formazione per interventi Pedagogici in contesti Clinici e Socio Sanitari
Alessandro Castelli
L’esperienza
dell’ospedalizzazione è un trauma.
Spesso ci si trova su di un letto
d’ospedale da un giorno all’altro, senza neanche avere il tempo di
razionalizzare quanto sta accadendo…Sia per casi d’incidente che per malattia
grave, pervenuti improvvisamente o quasi…Quindi ad esordio veloce. E come
reagisce il paziente e i suoi familiari? Come si comporta il personale medico e
infermieristico? Nei
casi più fortunati un neo paziente che ha una famiglia accogliente e calorosa,
nonostante il trauma comune, ha prima di tutto il conforto dei propri cari…Ma
non è sempre così, sia perché i propri familiari vivono lontani, sia perché si
vive da soli e solo nei migliori casi ci sono Amici a cui potersi rivolgere,
per l’immediatezza della situazione .
Ho vissuto 6 mesi all’interno
dell’Ospedale A. Gemelli di Roma, reparto Ematologia (inizialmente una
settimana all’Ospedale Belcolle di Viterbo nella prima fase critica), per
avermi diagnosticato una forma acuta di leucemia, nel mese di novembre 2008. Il
primo mese, completamente allettato a seguito della terapia d’urgenza alla
quale sono stato sottoposto a Viterbo, che mi ha salvato la vita. Da
gennaio fino ad aprile ho fatto avanti e indietro tra brevi periodi a casa e
più lunghi in ospedale, per i previsti cicli di chemioterapia e mantenimento medico alternati, previsti.
I medici che mi hanno curando e mi stanno
seguendo ancora, sono professionalità davvero preparate e li ringrazierò sempre
ma in questo periodo di ospedalizzazione cosa succede al paziente? Come
affronta l’emozione? Il medico e il personale infermieristico tutto come
reagisce? Il
lavoro è prettamente “tecnico”, anche se
naturalmente c’è anche l’elemento della umanizzazione dell’intervento clinico e
sanitario, ma spesso succede che l’aspetto psicologico è completamente secondario, per
cui questa necessità deve essere demandata, solo quando è prevista, a figure
specializzate. Per il paziente, l’aspetto dell’emotività e delle difficoltà di
relazione in un nuovo ambiente, l’impatto con la patologia e tutto ciò che ne
consegue è un trauma e spesso i medici devono occuparsi “solo” della parte
strettamente clinica, tralasciando la questione emotiva del paziente, che
spesso deve solo seguire le prescrizioni mediche…Ma la malattia determina una
condizione di profonda crisi in quanto interrompe l’abituale ritmo di vita e l’individuo
è talmente vulnerabile che non tutti si è in grado di affrontare nel modo
migliore ed equilibrato, questo periodo difficile. Inoltre, la formazione
medica è sempre stata improntata solo ed esclusivamente al fattore clinico..e
solo in minima parte psicologica, molto generale e prettamente sempre e solo
medica.
Ci sono poi medici che per loro
formazione e cultura umana riescono a stare più accanto al paziente,
offrendogli conforto e accoglienza, ma poi, le varie incombenze della patologia
da seguire non gli permettono di aumentare la qualità e il tempo
dell’accoglienza stessa, a discapito di altro tempo del medico stesso. Solo nei
casi di tumori è previsto un sistema di assistenza psicologica nei reparti, soprattutto
in situazione di minore età, (Oncologia) mentre ad esempio non è previsto alcun
intervento simile nei reparti di Ematologia, dove comunque si affrontano casi
di patologie tumorali gravi e importanti, come leucemie e linfomi…Non a caso
molti degli addetti ai lavori, chiamano Ematologia, “il Reparto”…
Quanto detto finora, fa parte di una
prima “riflessione pedagogica” riguardante un vissuto personale ma comune di
tante altre persone che l’esperienza dell’ospedalizzazione, cura e terapie sono
sempre causa di un disagio psicologico e a volte anche psichico. Pertanto sono
necessari strumenti ancor più utili e propositivi alla ricerca del Ben-Essere
psico-fisico dell’Individuo, soprattutto in contesti clinici e
Socio-Sanitari. Lo spunto per questa
“Riflessione Pedagogica” nasce poi, oltre dal profondo vissuto personale, anche
dall’aver letto il Dossier a cura di Giuseppe Rulli e Maria Angela Grassi,
riguardante l’E.T. (l’Educazione Terapeutica) del Dr. Francesco Mammì e del Dr.
Claudio Doliana, su “Come educare bambini e bambine, ragazzi e ragazze con
diabete”, (Professione Pedagogista, N.32, Maggio 2009).
A
mio avviso ci sono diversi aspetti comuni rispetto alla presente riflessione
che proponiamo: “La professione di pedagogista è peculiare e fondamentale
rispetto ai bisogni e alle necessità dell’Uomo, nella sua crescita e
formazione, soprattutto perché lavoriamo in contesti spesso problematici, alla
ricerca di risoluzioni utili alla vita di ogni essere umano”…Per cui “educare il
paziente a gestire la cura della propria malattia” come dice appunto il Dr.
Mammì e poi “l’esercizio di attività curative formali”…che “riflette anche un inconfessato bisogno di cura di sé…”
(per quanto riguarda i medici), ci sembrano ulteriori riflessioni davvero
importanti.
“L’
approccio al cliente” poi e a tutto ciò che ne consegue, appare in questo
ambito Cinico e Socio-Sanitario evidentemente utile, nell’insieme di un
ripensamento profondo, culturale e propositivo in chiave Pedagogica. Come Pedagogisti abbiamo l’opportunità incredibile di ampliare la possibilità di
creare Ben-Essere, così come l’esempio “educare bambini e bambine, ragazzi e
ragazze con diabete” , nei casi dei
reparti di Ematologia accennato sopra, non c’è nessuna preparazione psicologica
e assistenza pedagogica, al fine di
creare Interrelazione tra paziente, personale medico, infermieristico,
ausiliario e familiare.
Gli operatori ospedalieri sono troppo
presi dalle loro problematiche quotidiane e spesso anche dai bilanci delle
aziende, per cui l’unico strumento “umanizzante” ed “educativo” attuale è
quello della buona volontà dei singoli operatori (oltre ovviamente alla loro
preparazione professionale che però abbiamo detto, è prettamente medica). Troppo
spesso abbiamo visto l’affannarsi di dottori e infermieri su ogni singolo
paziente, dopo ogni visita mattutina, alle prese con le diverse patologie e
dietro alle varie cartelle cliniche da sfogliare, con poche possibilità di un
chiarimento un po’ più tranquillo tra paziente e medico stesso…Poche
informazioni concise per il decorso della malattia, (a volte neanche quelle,
perché sembra che le informazioni maggiori sono “riservate” agli addetti ai
lavori) e quasi nulla più.
Poi
il paziente stesso deve “rincorrere” il proprio medico per ulteriori
delucidazioni, rispetto all’andamento della terapia, perché nella realtà delle
cose, nella cultura medica e nell’impossibilità di avere tempi più consoni al
dialogo, “poche parole e più fatti”, sembra sia questa la “legge “ da seguire…!
“Purtroppo la filosofia della medicina non è certo un tema centrale nelle
facoltà di medicina europee (…), per la maggior parte, gli studenti accettano
il modo in cui la medicina è praticata usualmente senza mettere in discussione
gli assunti sui quali questa pratica è fondata (…) che le malattie sono entità
che attaccano il paziente dall’esterno (…)” come afferma Wulff-Andur Pedersen-Rosenberg, 1992, pp.1-2, sul Dossier citato Rulli-Grassi, Professione
Pedagogista N.32 in Claudio Doliana.
Per cui, crediamo che proprio perché
Pedagogisti, c’è la necessità di un appropriato utilizzo della parola anche di
tipo strettamente relazionale, a maggior valore proprio perché lo affrontiamo
in un contesto Clinico e Socio-Sanitario.
“L’esercizio della parola è curarsi del mondo
e il pedagogista non dovrebbe mai dimenticare che la sua identità è quella
dell’in-segnante in senso intimo, etimologico: non uno che insegna questa o
quella materia ma colui che sa segnare dentro, in quanto a sua volta segnato da
un incontro che gli ha segnato la vita” (Claudio Doliana, Professione
Pedagogista N.32). Il concetto appena ribadito, “segnare gli altri perché
segnati noi stessi….” è di fondamentale importanza: “Il Pedagogista è l’esperto
dei processi educativi e formativi” proprio
perché esperto in un ambito (non
materia) così fondamentale all’Essere Umano e moderno, non può essere una
competenza esclusivamente teorica. C’è bisogno di una “competenza interiore”,
di empatia quasi innata oserei dire, in grado di saper mettere in relazione i
fabbisogni educativi e formativi di preparazione umana, da trasmettere, così come nel vero
senso del “maieuta”.
La
proposta formativa qui presentata “L’ascolto Psico-Pedagogico
nell’ospedalizzazione” (un percorso di Esperienza vissuta, di riflessione e una
proposta di Formazione), è basata proprio sulle argomentazioni precedenti. Il
decorso del vissuto ospedaliero ha, a mio avviso, delle “necessità umane” , sia
da parte del paziente che del medico, che sarebbero da sviluppare meglio, in
particolare nei seguenti punti:
·
L’accoglienza
·
La Comunicazione
paziente/medico
·
La Visita medica
d’ingresso e quella giornaliera
·
Bisogni e
necessità del personale infermieristico (la professione d’aiuto sanitaria)
·
Interazione tra il personale ausiliario
·
I rischi delle
professionalità cliniche e istituzionalizzate
·
La figura del
Primario e le richieste del Paziente
Questi
sarebbero i primi punti da analizzare e sviluppare per favorire un “approccio
sistemico alla relazione tra Paziente ed Operatore”, in senso strettamente
pedagogico. Le tematiche affrontate quindi, sarebbero strumento naturale per
una proposta formativa e di aggiornamento più ampia, a favore delle
professionalità sanitarie, in competenza specifica, rispetto al lavoro
quotidiano e fondamentale, alla base della “relazionalità del paziente”, ancora
carente…Ma forse qualcosa si sta muovendo…
Il decorso ospedaliero ha bisogno di una
maggiore umanizzazione.
Il
Pedagogista in ambito ospedaliero.
Il periodo della degenza, così com’è
attualmente strutturato, non aiuta ad una certa sistematicità funzionale nella
quotidianità del percorso terapeutico. Ci sono infatti diversi aspetti “forzati”
all’interno della vita in ospedale, a causa dalle esigenze strutturali e
professionali, per cui il paziente si deve adeguare a loro, cercando di
organizzarsi individualmente, se è possibile, ma non è sempre possibile. A tal
fine c’è bisogno di una serie di strategie utili e opportune per il percorso
terapeutico da affrontare, a favore del Paziente adulto, che anche in questo
caso vorremmo sintetizzare nei punti fondamentali, per una successiva
rielaborazione:
Ø
La degenza:
·
I tempi
·
I mezzi
·
Gli strumenti
·
Le tecniche dell’interazione
I quattro punti sopra evidenziati sono
fondamentali al fine di un ,miglioramento psicofisico dell’Individuo ricoverato.
L’assenza dal calore delle mura familiari, lascansione dei tempi e degli spazi
interni, pur se necessari, creano un ulteriore trauma all’individualità di
ognuno e solo la vicinanza dei propri cari e una certa preparazione e
sensibilità professionale, può attutire tale scompenso emotivo.
Proprio a questo proposito, l’insieme
della nostra proposta, prevede una certa rimodulazione o comunque,
riqualificazione all’interno dei servizi giornalieri ospedalieri, attuali, per
ottimizzarne le prestazioni mediche, infermieristiche, ausiliarie e ambientali,
a favore del Paziente e del Personale tutto.
Ri-qualificazione e ottimizzazione dei
servizi sanitari interni, in senso strettamente pedagogico, vuol dire che le attività
giornaliere, prestazioni, spazi e tempi, dovrebbero essere gestite
diversamente, ma senza alcuna rivoluzione.
In
questo senso e a questo proposito, l’apporto del Pedagogista all’interno della
struttura ospedaliera, favorirebbe un “incontro” diverso e più funzionale alle
esigenze delle parti, utilizzando strumenti adeguati di inter-azione tra gli
attori coinvolti (pazienti, medici, infermieri, ausiliari e familiari), per una
organizzazione, umana, interna, più efficace.
Un senso organizzativo-pratico nuovo,
rispetto alle esigenze di tutti, ma soprattutto dal punto di vista emozionale
che la figura “nuova” del Pedagogista in ambito ospedaliero, aiuterebbe a
monitorare al meglio, dall’interno, le varie istanze emotive e di
fruizione/organizzazione del servizio, a favore del Paziente e del Personale
tutto. Spesso inoltre sono carenti anche le figure dei Volontari, (nel reaparto
di Ematologia del Gemelli, c’è solo una disponibile e cara suora che cerca di
dare un po’ di conforto ai pazienti e quando può li aiuta anche per alcune
richieste pratiche…Ma c’è bisogno di un maggior sostegno.
Conoscere se stessi e gli altri: il rapporto ospedaliero e la
compartecipazione del percorso terapeutico.
Le relazioni e i rapporti in ambito
ospedaliero, tra le persone, subiscono inevitabilmente degli “influssi
istintivo professionalizzanti”, come oserei chiamare…Ovvero, essendoci quasi
mai momenti di specifica e strutturata conoscenza reciproca, tra paziente,
medico e personale infermieristico, in particolare, l’unica “relazione” tra le
parti è limitata alla “conoscenza funzionale” tra le parti, in occasione delle
quotidiane visite mediche o degli interventi infermieristici, limitari a
questo. Ed è normale…
Secondo quanto afferma il Dr. Mammì, “curo
gli altri per non pensare ai miei nodi irrisolti” e “occuparsi di chi si occupa
di terapie a prescindere dal loro grado di legittimità”, è un’altra forte
riflessione che noi Pedagogisti dovremmo favorire, affrontare e cogliere.
La conoscenza globale e particolare
dell’individualità Paziente, dovrebbe essere favorita all’interno del processo
medico e qui il Pedagogista può fare davvero, meglio di altri. E’ a questo
proposito che si dovrebbe aumentare e favorire il senso di “compartecipazione”
del percorso terapeutico, a favore della diretta informazione
del
Paziente, diminuendo la “distanza” tra medico e paziente stesso, proprio per
far si che il percorso e il decorso terapeutico, sia il più possibile condiviso
dalle parti, aumentandone la consapevolezza e la responsabilità reciproche.
Tutto
questo risulterebbe a favore anche del medico, che troppo spesso si trova di
fronte alle enorme responsabilità, (tipiche certo della professione scelta), ma
con conseguenze psicologiche, sicuramente non abbastanza affrontate e
assorbite.
Questa verità, in una professione d’aiuto
come quella del medico (ma anche dal punto di vista del paziente), risulta nei
fatti, in una certa contraddizione. Nelle professionalità mediche, riconosciute
a favore della cura della persona e alla salvezza della vita umana, non sia più
“solo” sterile competenza dall’alto delle accademie universitarie, ma un
processo di ottimizzazione continua per il Ben-Essere della Persona!